LOTTA AL RANDAGISMO E STRUTTURE VETERINARIE MOBILI

Recentemente si sente di nuovo parlare di strutture veterinarie mobili ritenute, da più parti, la vera e sola soluzione al problema del randagismo. L'Accordo Stato Regioni del 26 novembre 2003 e i recepimenti regionali che ne sono seguiti vietano l'attivazione di strutture veterinarie mobili; solo in alcuni casi si parla di ambulanze per il soccorso di animali feriti che si coordinano con strutture fisse. Le intenzioni e le motivazioni del divieto da parte del legislatore sono chiare e di facile comprensione: scarse possibilità di controllo e vigilanza sanitaria, inadeguatezza delle garanzie dei requisiti minimi previsti per le strutture fisse.
La categoria dei Medici Veterinari non le ritiene opportune per le stesse motivazioni a cui vanno aggiunti altri aspetti più tecnici.
Tutti noi siamo convinti che la sterilizzazione e l'identificazione dei cani siano i capisaldi della lotta al randagismo; riteniamo che tali attività non debbano essere previste come interventi dettati dall'emergenza, ma debbano essere costanti e tenaci sul territorio, da radicare nei cittadini e negli amministratori, evidenziandone i benefici economici, sociali e sanitari nel medio- lungo termine. Solo modificando la cultura del rispetto degli animali si fanno passi avanti duraturi nel tempo, l'assistenzialismo non risolve i problemi e li perpetua.
E' indubbia la presenza sul territorio di una rete capillare di strutture veterinarie pubbliche e private che non giustificano la necessità di attivarne di nuove; oggi dobbiamo prevedere una razionalizzazione ed una ottimizzazione delle risorse umane ed economiche, ed attrezzare un mezzo mobile che abbia una serie di requisiti minimi igienico sanitari per gli operatori e per i pazienti costa svariate decine di migliaia di euro, a cui si dovranno aggiungere i costi del personale medico veterinario, delle attrezzature e dei presidi medico- chirurgici minimi necessari ad eseguire un intervento chirurgico degno di questo nome; non possiamo essere concordi con chi vuole promuovere questa soluzione costosa, poco efficace e che non tiene conto minimamente del benessere degli animali, delle BPV e di un requisito minimo di qualità delle prestazioni che devono essere elementi fondamentali anche quando si interviene su un randagio.
La Professione veterinaria deve prendere le distanze dalla valutazione che il rischio chirurgico d'interventi fatti a tappeto su animali di cui non si conosce nulla e a cui non è possibile prestare quelle minime attenzioni preoperatorie e postoperatorie, sia comunque ininfluente rispetto al fine maggiore di sterilizzare più cani possibile, in meno tempo e a minor costo, perché tale valutazione non è etica né deontologica e non è accettabile sia culturalmente che professionalmente.
La soluzione non è semplice, ma sicuramente non passa attraverso interventi d'emergenza spot; l'analisi delle responsabilità, omissioni, negligenze, superficialità che hanno portato dal 1991 ad oggi a questo stato di cose ci è nota e chiara, parlare oggi di emergenza è veramente pretestuoso: i randagi non sono diventati 600.000 da ieri a oggi.
Occorrono pragmaticità, metodo e volontà di fare, da parte di tutte le figure coinvolte: i medici veterinari pubblici e privati, le Istituzioni, le amministrazioni e le associazioni protezionistiche, partendo da un reale censimento dei canili e dei cani detenuti.
La nostra posizione non è dettata da un pensiero corporativistico, ma dalla nostra cultura medica e dal rispetto per gli animali e per il loro benessere. La collaborazione è fondamentale: se la finalità è condivisa le soluzioni si trovano.

fonte Ufficio Stampa FNOVI

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